A che gioco giochiamo? Ecco come è andata

A CHE GIOCO GIOCHIAMO?

Ruoli, regole, libertà nella dinamica dell'apprendimento

 Come è andata? Ce lo raccontano due partecipanti.

TIZIANA

La scuola estiva AIMC 2019, che si è tenuta a Costabissara in provincia di Vicenza a fine agosto, si è sviluppata intorno al libro “La scuola dei giochi” di Pier Aldo Rovatti e Davide Zoletto. Gioco inteso non come “cosa da bambini”, ma come elemento chiave dell’apprendimento, fatto di regole che, non osservate, mettono subito il giocatore "fuori gioco".
Fotogruppo1pgDurante le giornate gli insegnanti si sono “messe in gioco”, hanno rischiato di “giocarsi” la faccia interpretando ruoli diversi, hanno riflettuto sulle dinamiche che “regolano” la classe, il collegio dei docenti, i rapporti con i genitori… Hanno compreso l’importanza della “collusione” (dal latino col-ludere, giocare insieme) tra insegnanti e studenti. Il testo proposto, che richiama Foucault, evidenzia come la “collusione”, il gioco insieme, permetta uno sviluppo positivo del “gioco di potere”, in cui l’autorità viene conferita all’insegnante da tutti i soggetti che partecipano al gioco (alunni, colleghi, genitori…).
Attraverso “giochi” organizzati dal gruppo di progettazione, gli insegnanti partecipanti hanno riflettuto sul significato profondo della “competizione” nel gioco, il cum-petere, ovvero “cercare insieme” che evita l’esclusione.
Durante le giornate la narrazione è stata quella che da anni connota i percorsi formativi Aimc e che vede una scuola nella quale l’insegnante, che è portatore di sapere, si muove in un equilibrio continuo assumendo il ruolo di ricercatore esperto con altri ricercatori (gli allievi) per far si che il “gioco di verità” non si concluda con “giusto” o “sbagliato” ma si evolva attraverso la trasformazione delle “regole del gioco”.

SARA

“A che gioco giochiamo?”: quante volte, nella nostra vita, abbiamo sentito queste parole, quante volte le abbiamo dette ai bambini con cui siamo stati chiamati a stare, per quante volte questa domanda ha sempre avuto lo stesso significato.
La scuola estiva organizzata dall’Associazione Italiana Maestri Cattolici, tenuta a Costabissara (Vicenza) dal 25 al 28 agosto, è stata l’occasione per rileggere quest’interrogativo con occhi diversi.


 

Ci avete mai pensato che, in fondo, la scuola è un grande gioco? Avete mai pensato di essere pedine o abili strateghi dietro una partita lunga un anno? Vi siete mai soffermati a riflettere su quanto potere abbiate voi o abbiano gli altri nel vostro game, sul vostro campo da gioco, che sono poi le vostre aule, i vostri plessi, i vostri istituti?

Insieme ad altri 50 insegnanti circa, di ordini e gradi di scuole differenti e provenienti da diverse regioni d’Italia, e con il prezioso aiuto di relatori e formatori, ho avuto l’occasione di riguardare la scuola, di rileggere le dinamiche di classe, degli alunni, dei docenti, dell’intero istituto proprio come si può riguardare una partita di Risiko persa o una mano di briscola particolarmente vincente, comprendendo come, a volte, quello che sta dietro la vittoria o la sconfitta sia quasi più importante del risultato.

E allora, come i bambini che cambiano le loro dinamiche di gioco, anche noi ci siamo trovati, in modo saggio e altrettanto sano, a pensare di cambiare le regole dei nostri giochi, del nostro lavoro, meditando su quanto poco rilevanti siano alcune regole che, invece, a volte, appaiono fondamentali. Pensate quanto possano essere irrilevanti nel gioco della classe per la creazione di un clima sereno e positivo quanti siano gli alunni, se le penne siano cancellabili o meno e se la copertina del quaderno di storia sia gialla o arancione e a come spesso, invece, questi aspetti diventino vincolanti per l’insegnante. È come a nascondino: dobbiamo sapere cosa vogliamo fare,

dove vogliamo arrivare, come vogliamo divertirci per sapere quali regole mettere e non il contrario.

Abbiamo compreso che, alla fine, per giocare conta essere flessibili, che a volte le partite riescono meglio se qualcuno mescola le carte in tavola, accettando che non tutti debbano necessariamente giocare tutto alla stesso modo, che non tutti siamo uguali, che a non tutti piace giocare e che, a volte, potrebbe essere divertente e funzionale al gioco stesso che le regole le detti qualcun altro. Quante volte i nostri alunni possono realmente avere in mano il potere di decidere a che gioco giocare? Quante volte glielo lasciamo? Quanto gli permettiamo di stupirci? Quante volte ci siamo permessi di uscire dal nostro ruolo di insegnanti per entrare, anche noi, in quello di scolari, costruendo insieme ai nostri bambini e ragazzi il sapere?Fotogruppo2In modo prima teorico e poi soprattutto operativo, ci è stata data la possibilità di comprendere il significato di tutto questo: dalla regola flessibile a una flessibilità che fa vivere gli imprevisti come possibilità; da un nuovo sguardo vissuto come una potenzialità di cambiamento a un ruolo che non è più un peso, ma una risorsa che favorisce una partecipazione che coinvolge e diverte perché in fondo è per questo che si inizia una partita, anche quella dell’insegnamento

Sara Minazzi

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Ecco anche cosa abbiamo visto (Le bellezze della sede a Costabissara e in giro per Vicenza)

https://drive.google.com/file/d/1tXYVHZoUsO8reorPD-iLE_nzcHHcb7eg/view?usp=drivesdk

 

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